Submission Date: 2019-07-24
Review Date: 2019-08-07
Pubblication Date: 2019-08-24
Printed on: Volume 1, Issue II
In un contesto in cui la tecnologia e il biomedicale rappresentano una sicura fonte di investimento e nel quale la Sicurezza e la Prevenzione sul lavoro iniziano ad assumere un peso rilevante per ogni realtà aziendale che voglia essere lungimirante, anche il settore della Sanità deve continuamente aggiornarsi per rendere le procedure il più possibile esenti da rischi, sia per gli operatori che per i pazienti, sia per minimizzare i rifiuti che vengono prodotti. In quest’ottica, fa piacere constatare che anche delle aziende italiane hanno scelto di cavalcare il progresso proponendo nuove metodiche e tecnologie sostenibili e che assicurano maggiore sicurezza per lavoratori, pazienti e ambiente.
In tal senso, da poco sono usciti articoli su tutte le testate giornalistiche e medici e pazienti si sono riuniti in convegno “Focus sulla prevenzione delle infezioni ospedaliere” per discutere delle azioni e delle buone pratiche di prevenzione mirate a combattere questa emergenza sanitaria, che solo nel nostro paese causa il decesso di circa 8 mila persone l’anno. Prevenire il 30% delle infezioni contratte dai pazienti durante e dopo il ricovero ospedaliero è l’obiettivo di medici, politici e associazioni di pazienti per arginare quest’emergenza sanitaria, che conta mezzo milione di casi all’anno e che uccide -numeri alla mano- più degli incidenti stradali: secondo i dati dello European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) sarebbero circa 8 mila le morti in Italia dovute alle infezione ospedaliere dello scorso anno, contro poco più di 3 mila dovute alla strada. Ogni anno le regioni pagano indennizzi milionari alle famiglie che hanno subito danni nella sanità.
Una tecnologia innovativa tutta Italiana è stata messa a punto per porre una valida ed efficace barriera, sulle infezioni e sepsi d’organo, in ambito delle strutture Ospedaliere ad alta tecnologia. La gamma è denominata ABT 9000 ed ABT 3000 realizzate dopo circa 20 anni di ricerca.
La tecnologia proviene da un progetto complesso che vede all’inizio degli anni 2000 tramite dei MIUR presso “La Sapienza” di Roma – Dipartimento di Chimica Organica l’ottenimento di un nuovo metodo di sintesi ottenuto per mezzo di sostanze generate tramite chimica combinatoriale, per sostanze in Sali di cristallo purissime con proprietà farmacocinetiche attese ed impostate all’origine del progetto.
In particolare si necessitava di generare molecole con forte stabilità e proprietà non devianti, dette colligative, al fine di avere attività inibenti e denaturanti all’interno di Rnasi resistenti. In sostanza, di creare altre azioni interne al DNA biologico non tossiche.
La tecnologia ABT anagramma di Axivirium Bioactive Tecnology proviene da questa ricerca citata. In particolare, la sintesi utilizzata allo scopo è il “Carboviral alfa alfa” che possiede particolari funzioni retrovirali che assicurano il blocco della replicazione virale al 100%. La ricerca ha vissuto anni di collaborazione tra diverse Università Italiane come Pisa – Dipartimento di Patologia Sperimentale e biotecnologie, Centroretrovirus, Università Cattolica del sacro Cuore di Roma “A.Gemelli” – Dipartimento di Microbiologia e Virologia.
La tecnologia, negli ultimi tre anni, è stata oggetto di una industrializzazione avanzata che, avvalendosi dello sviluppo digitale, ha potuto sfruttare strumenti di misura e metodo molto precisi, così da ottenere affidabilità e validazione del processo, al fine di garantire una efficienza di lavoro continua sempre a disposizione delle risorse umane.
La motivazione della progettazione e realizzazione della gamma ABT parte proprio nell’attenzione dell’azienda fabbricante verso le risorse umane: da una attenta analisi emerge la necessità di tutela prima, durante e dopo l’attività lavorativa in ambito sanitario. Mettere a disposizione degli operatori tecnologie sempre innovative per la loro protezione, per quella ambientale implica automaticamente l’innalzamento della qualità lavorativa e –più in generale- di tutto l’ambiente. Quindi, il controllo del rischio biologico- chimico reale, effettivamente validato in ABT, diminuisce lo stress professionale, migliora il microclima di lavoro, abbatte i costi delle gravissime infezioni o sepsi d’organo con meno utilizzo di antibiotici e relativa antibiotico resistenza, dovuta all’uso sempre maggiore di antimicrobici sofisticati ad alto peso.
Altro aspetto migliorativo –non meno importante– è quello di poter ottenere un elevato miglioramento dei tempi di lavoro. Ad esempio, in sala operatoria urologica, la gestione dei liquidi reflui in grande quantità, in completa sicurezza microbiologica e tecnica pratica, permette una riduzione dei tempi di intervento, che hanno ricaduta positiva sui costi di sala operatoria e, ovviamente, implicano maggior tempo da dedicare ai pazienti.
L’aspetto delle infezioni merita, tuttavia, di essere analizzato ancora più approfonditamente. Queste infezioni ospedaliere si presentano in ogni parte del mondo e riguardano sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo. Come detto in precedenza, nelle strutture sanitarie rappresentano una delle maggiori cause di morte e di aumentata morbilità tra i pazienti ricoverati.
Le infezioni rappresentano un notevole problema sia per i pazienti che per la sanità pubblica. Una ricerca sulla prevalenza condotta sotto la sovraintendenza della WHO (World health Organitation) in 55 ospedali di 14 paesi rappresentanti 4 regioni (Europa, Mediterraneo Orientale, Sudest Asiatico e Pacifico Occidentale) ha dimostrato che circa l’8,7% dei pazienti ricoverati presentava una infezione ospedaliera. In qualsiasi momento circa 1,4 milioni persone nel mondo hanno complicazioni infettive acquisite durante il ricovero in fase operatoria. Le maggiori frequenze di infezioni nosocomiali sono state riportate in ospedali delle Regioni del Mediterraneo Orientale e Sudest Asiatico (rispettivamente 11,8% e 10,0%) con una prevalenza del 7,7% e del 9,0% rispettivamente nelle regioni Europee e del Pacifico occidentale. Le infezioni ospedaliere più frequenti sono quelle causate dalle ferite chirurgiche, dalle infezioni delle vie urinarie e quelle delle basse vie respiratorie. Lo studio della WHO, unitamente ad altri continuati durante gli anni, hanno anche evidenziato che la maggior prevalenza delle infezioni nosocomiali compare nelle unità di terapia intensiva e nei reparti di terapia di urgenza e di ortopedia. I tassi di infezione sono maggiori e con aumentata suscettibilità laddove vi siano fattori quali l’età avanzata, patologie concomitanti o chemioterapia. Le infezioni nosocomiali aggiungono disabilità funzionale e stress emotivo ai pazienti e possono, in alcuni casi, portare a condizioni debilitanti che riducono la qualità di vita.
Sono anche una delle cause principali di morte. Inoltre, i costi economici ad esse legati sono cospicui. La degenza protratta dei pazienti con infezioni ospedaliere rappresenta il fattore che maggiormente influenza i costi. Diversi studi hanno evidenziato che l’aumento complessivo della durata della degenza per pazienti con infezioni delle ferite chirurgiche era di 8.2 giorni, variando da 3 giorni per i casi ginecologici a 9.9 giorni per pazienti di chirurgia generale, fino a ben 19.8 giorni per casi di chirurgia ortopedica. Il ricovero prolungato non solo aumenta i costi diretti del paziente, ma aumenta anche i costi indiretti dovuti alla perdita di giornate di lavoro. Anche l’aumentato uso di farmaci, la necessità dell’isolamento e il ricorso ad indagini di laboratorio o altri mezzi diagnostici contribuisce all’aumento dei costi. Le infezioni ospedaliere contribuiscono allo sbilanciamento delle risorse disponibili per la sanità pubblica assorbendo i già scarsi fondi per la gestione delle condizioni potenzialmente prevenibili. L’età avanzata dei pazienti ricoverati nelle strutture sanitarie, la maggiore prevalenza di patologie croniche tra i pazienti ricoverati e l’aumentato utilizzo di procedure diagnostiche e terapeutiche che influenzano le difese dell’ospite porteranno ad un continuo aumento di questa situazione, se non vi si trovano dei rimedi nel breve termine. I microrganismi che provocano le infezioni nosocomiali possono essere trasmessi alla comunità mediante i pazienti dimessi, il personale e i visitatori. Se i microrganismi sono multiresistenti potrebbero, pertanto, provocare una malattia significativa nella comunità. Durante il ricovero, il paziente è esposto ad un possibile contatto con svariati microrganismi. Da solo, il contatto tra il paziente e un microrganismo non necessariamente sfocia nello sviluppo di una malattia clinicamente evidente (altri fattori influenzano la natura e la frequenza delle infezioni nosocomiali). La probabilità, infatti, che l’esposizione esiti in infezione dipende parzialmente dalle caratteristiche dei microrganismi, quali la resistenza agli antibiotici, la virulenza intrinseca e l’inoculazione di materiale infetto.
Differenti batteri, virus, funghi e parassiti possono determinare infezioni. Le infezioni possono essere causate da un microrganismo acquisito da un’altra persona in ospedale (cross-infezione) o possono essere causate dalla stessa flora del paziente (infezione endogena). Alcuni microrganismi possono essere acquisiti da un oggetto o da sostanze contaminate di recente da un’altra fonte umana (infezione ambientale).
Prima dell’introduzione della pratica medica delle metodiche igieniche di base e degli antibiotici, la maggior parte delle infezioni nosocomiali erano dovute a patogeni di origine esterna (malattie legate al cibo o all’aria ambientale, cangrena gassosa, tetano etc…) o, alternativamente, erano provocate da microrganismi non presenti nella normale flora del paziente (ad es. difterite, tubercolosi). Il progresso del trattamento antibiotico delle infezioni batteriche ha notevolmente ridotto la mortalità di numerose malattie infettive. Attualmente, la maggior parte delle infezioni acquisite in ospedale sono causate da microrganismi che sono comuni nella popolazione generale, nella quale essi non provocano o provocano malattie di lieve entità, diversamente da quanto accade nei pazienti ricoverati (Staphlococcus aureus, staffilococchi coagulasi-negativi, enterococchi, Enterobacteriaceae),
I fattori principali del paziente che influenzano l’acquisizione dell’infezione comprendono l’età, lo stato immunitario, la patologia concomitante e gli interventi diagnostici e terapeutici. Ovviamente, gli estremi della vita – infanzia e vecchiaia- sono associati ad una naturale minore resistenza alle infezioni. Anche i pazienti con patologie croniche quali tumori maligni, leucemia, diabete mellito, insufficienza renale o sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) presentano una aumentata suscettibilità alle infezioni da parte di patogeni opportunisti. Queste ultime sono infezioni dovute a microrganismi normalmente innocui ma che possono diventare patogeni quando le difese immunologiche sono compromesse. I farmaci immunosoppressivi o la terapia radiante possono ridurre le resistenze alle infezioni. Anche la malnutrizione rappresenta un rischio. Inoltre, molte delle moderne procedure diagnostiche e terapeutiche, quali le biopsie, gli esami endoscopici, i cateterismi, l’intubazione tracheale, le procedure chirurgiche, aumentano il rischio di infezione. Gli oggetti o sostanze contaminate possono essere introdotti direttamente nei tessuti o in sedi normalmente sterili quali le vie urinarie e le basse vie respiratorie.
Per quanto evidenziato, resta facile intuire il perché le infezioni nosocomiali sono molto diffuse, rappresentando un importante contributo alla morbilità e alla mortalità. Esse diventeranno persino più importanti dal punto di vista della sanità pubblica con un aumentato impatto economico ed umano e qualunque proposta innovativa di tecnologie Clinicamente validate e sicure -nella misura e nel metodo- atte a ridurre le infezioni non potrà essere che ben accetta dalla comunità Medica, infermieristica e da tutte le Professioni Sanitarie.
Dal punto di vista delle infezioni batteriche è doveroso affrontare l’argomento da altre fonti che generano le antibiotico-resistenze con altri aspetti di valutazione.

Analisi economica di prospettiva
Nel 2050 le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando ampiamente i decessi per tumore (8,2 milioni), diabete (1,5 milioni) o incidenti stradali (1,2 milioni, con costi stimati oltre ai 100 trilioni di dollari. È la previsione stilata in una review sull'”Economist” dedicata all’antibioticoresistenza da Jim O’Neill, attuale ministro inglese del Commercio, incaricato dal governo britannico di analizzare il problema e proporre soluzioni attuabili su scala globale. Già ora in Europa si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano oltre 37 mila decessi e sono responsabili di un significativo assorbimento di risorse che si attestano a circa 1,5 miliardi di euro l’anno. Quanto all’Italia, la resistenza agli antibiotici resta tra le più elevate in Europa e risulta, nella maggior parte dei casi, al di sopra della media europea. Nel nostro Paese ogni anno, dal 7% al 10% dei pazienti va incontro a un’infezione batterica multiresistente con migliaia di decessi.
Da tempo anche l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sottolinea ripetutamente la necessità di cambio di mentalità da parte sia dei medici sia dei pazienti, per riconoscere il valore fondamentale di queste importanti risorse terapeutiche da usare correttamente.
La comunità scientifica internazionale ha individuato due linee principali di intervento:
- un cambiamento culturale immediato e profondo nella popolazione e nella comunità medica che porti a un impiego realmente appropriato degli antibiotici così da ridurne l’abuso e prolungarne il più possibile la vita;
- una strategia di lungo periodo che punti alla promozione di incentivi all’introduzione di terapie innovative in grado di far fronte ai ceppi resistenti.
Altre soluzioni raccomandate da O’Neill consistono nell’istituzione di un “Global innovation fund” da 2 miliardi di dollari per finanziare la ricerca in fase iniziale e l’introduzione del sistema ‟pay or play”, ovvero: oneri finanziari aggiuntivi per le aziende che non investono in ricerca e sviluppo di nuovi antibiotici e, al contrario, una ‟ricompensa” di 1/1,5 miliardi di dollari per ogni nuovo farmaco antimicrobico efficace portato sul mercato. Ulteriori incentivi dovrebbero essere promossi per lo sviluppo di test diagnostici atti a evitare la somministrazione inutile di antibiotici o a favorire l’individuazione degli antibiotici più adatti a eradicare un’infezione per limitare la comparsa di ceppi resistenti. Importanti anche i vaccini, secondo il report: il loro uso contribuirebbe alla causa riducendo la necessità di usare antibiotici, ed aiuterebbe a combattere l’aumento delle infezioni da batteri resistenti ai farmaci.
Per esempio, «una copertura universale con un vaccino coniugato antipneumococcico» sostiene O’Neill «potrebbe prevenire largamente le 800mila morti annuali di bambini sotto i 5 anni causate dallo Streptococcus pneumoniae e potrebbe prevenire oltre 11 milioni di giorni d’uso di antibiotici, riducendo la probabilità di sviluppo di resistenze». In conclusione, il problema della resistenza antimicrobica va combattuto su vari fronti, con uno sforzo congiunto delle istituzioni internazionali con politiche volte, non solo a favorire lo sviluppo di nuovi farmaci, ma a sensibilizzare la popolazione e impegnare gli operatori sanitari affinché si diffonda e consolidi una gestione responsabile delle prescrizioni. L’Aifa fa la sua parte: dal 2008 è impegnata nella promozione di un uso corretto degli antibiotici con capillari campagne di comunicazione, incoraggiando i pazienti a ricorrervi solo quando necessario e dietro prescrizione del medico, seguendo scrupolosamente dosi e tempi della terapia per non comprometterne gli effetti. Il concetto che deve mettere radici è che usare bene gli antibiotici è una responsabilità sociale, in quanto favorire lo sviluppo di resistenze mette seriamente a rischio la salute della collettività.
Antibioticoresistenza
Gli antibiotici hanno rappresentato, fin dalla loro scoperta (es. penicillina, nel 1929), un potente strumento al fianco della medicina pubblica, per la terapia delle infezioni batteriche e delle complicazioni batteriche di importanti malattie infettive ad elevata incidenza e con tassi di letalità rilevanti per il genere umano. Negli ultimi quaranta anni, sono stati di grande supporto all’exploit delle produzioni zootecniche, favorendo l’incremento della disponibilità di proteine animali per vasti strati sociali nei paesi sviluppati, e contribuendo anche indirettamente al miglioramento delle condizioni di “salute” delle nuove generazioni. Tuttavia, l’uso degli antibiotici non è scevro da “effetti collaterali”. Infatti, l’utilizzo di varie classi di molecole ad azione antibiotica purtroppo ha favorito la “selezione” e la diffusione di popolazioni resistenti di agenti batterici patogeni e commensali opportunisti.
Il fenomeno dell’antibioticoresistenza è un “fenomeno naturale”, che ha accompagnato l’evoluzione dei batteri, incluse le specie a vita libera, nella competizione per le fonti trofiche. L’uso degli antibiotici nel settore umano nel settore veterinario non ha fatto altro che amplificare enormemente il fenomeno, basato sulla selezione di organismi in grado di sopravvivere in un determinato ambiente sfavorevole, grazie a mutazioni genetiche o per acquisizione da altri organismi di geni di resistenza già “precostituiti”. Attualmente, la quasi totalità delle classi di antibiotici impiegata nella terapia umana, trova riscontro in analoghe molecole registrate anche per uso veterinario. La disponibilità ed i quantitativi utilizzati nel settore veterinario hanno favorito nel corso degli ultimi decenni l’emergenza e la diffusione di resistenze a tutte le classi di antibiotici utilizzate in batteri di origine animale, inclusi i batteri zoonosici (es. Salmonella, Campylobacter) ed opportunisti (es. Escherichia coli, Enterococcus sp.).
Nel tempo, si è acceso un intenso dibattito sull’uso degli antibiotici nelle produzioni animali, e sull’impatto che le quantità e le modalità di utilizzo nel settore animale hanno nell’Uomo, attraverso la diffusione di agenti antibioticoresistenti (e. g. agenti zoonosici) o di geni di resistenza (e. g. attraverso agenti commensali ed opportunisti) lungo le filiere produttive fino all’Uomo. Il dibattito si è più recentemente alimentato anche per l’uso che si fa degli antibiotici negli animali da compagnia, per i possibili rischi di trasferimento di agenti antibioticoresistenti dovuti alla convivenza con i “pets”.
L’importanza del “problema antibioticoresistenza” non è recente. Attualmente, nell’Unione europea, ECDC EMA ed EFSA stimano che circa 25.000 pazienti muoiono ogni anno per infezioni causate da batteri multiresistenti e i costi relativi sono stimati a circa 1,5 miliardi di euro all’anno. Negli Stati Uniti d’America, le infezioni da patogeni resistenti agli antimicrobici pesano sul sistema sanitario per oltre 20 miliardi di dollari all’anno e generano più di 8 milioni di giorni di degenza aggiuntivi.
I costi sociali annuali superano i 35 miliardi di dollari (http://www.who.int/bulletin/volumes/89/5/11-088435/en/index.html). Tuttavia, già nel 1998, l’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS, World Health Assembly, WHA) aveva adottato una risoluzione che invitava formalmente gli Stati Membri a prendere contromisure nei confronti della resistenza agli antibiotici. Nello stesso anno, a Copenhagen, si tenne una Conferenza dell’Unione Europea (“The Microbica Threat”, ovvero la minaccia microbica) che giunse ad una serie di conclusioni e raccomandazioni “globali” ed a livello EU, che vennero successivamente pubblicate (“The Copenhagen Recommendations”).
Tra i punti più importanti, vi erano le necessità di istituire un sistema di “sorveglianza” sul fenomeno dell’antibioticoresistenza, di monitorare i volumi di consumo delle varie classi di antibiotici in medicina umana e veterinaria, di investire nel settore della ricerca sull’antibioticoresistenza. Inoltre si constatava già da allora come l’industria farmaceutica avesse ridotto la capacità di investire nella ricerca di nuove classi di antibiotici e di portarne a registrazione di nuovi. Per tali motivi, si raccomandava di promuovere estensivamente l’uso “prudente” degli antibiotici, per poterne preservarne nel tempo l’efficacia terapeutica sia nel settore umano e veterinario. Nel 2005 a Canberra fu indetta per la prima volta una riunione di esperti dell’WHO sugli antimicrobici di importanza critica (Critically important Antimicrobials, CIA) per la salute umana, che dovesse classificare l’importanza di varie classi di antibiotici in rapporto a specifici criteri. Tale classificazione, in continua evoluzione, raggiunse una forma più matura nel 2007 e nel 2011.
Nello specifico, gli antibiotici che soddisfano entrambi i seguenti criteri:
- l’antibiotico in questione è l’unica o una delle terapie limitate disponibili, per trattare gravi malattie umane;
- l’antibiotico è usato per trattare malattie causate da: (1) organismi che possono essere trasmessi all’uomo da fonti non – umane o (2) malattie umane causate da organismi che possono acquisire geni di resistenza da fonti non – umane;
sono classificati “Critically Important Antimicrobials” (CIA).
Tra i CIA, purtroppo, sono comprese anche alcune classi di antibiotici registrati per uso veterinario e per varie specie zootecniche in EU: Cefalosporine di 3a e 4a generazione, Fluorochinolonici e Macrolidi (http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/77376/1/9789241504485_eng.pdf). Pertanto si raccomandò già da allora di limitarne l’utilizzo negli animali a casi selezionati e per la terapia individuale.
Più recentemente, nel 2012 una nuova EU Conference “Combating Antimicrobial Resistance – Time for Joint Action”, si è concentrata sulla crescente minaccia globale della resistenza antimicrobica e l’uso di antimicrobici da una “prospettiva One Health“. Tale Conferenza aveva come ultimo scopo quello di fornire ulteriori raccomandazioni a vantaggio del Consiglio d’Europa, della Commissione Europea e degli Stati Membri.
Il punto di partenza per le discussioni alla conferenza era che un approccio olistico che comprendesse sia la medicina umana che veterinaria, vista la rilevanza dei legami tra stato di salute o di malattia negli animali e stato di salute negli esseri umani.
L’obiettivo principale della conferenza è stato quello di discutere i modi per:
- migliorare la sorveglianza e la raccolta dei dati sui consumi degli antibiotici e la sorveglianza sull’antibioticoresistenza nell’Uomo e negli animali;
- fermare l’eccessivo uso di antibiotici negli esseri umani e negli animali, favorendo il c. d. “uso razionale”.
- ridurre l’uso dei Critically Important Antimicrobials nell’uomo e negli animali.
Gli esiti della conferenza e le raccomandazioni scaturite hanno favorito l’adozione di un successivo documento da parte del Consiglio d’Europa (Conclusioni del Consiglio del 22 giugno 2012 sull’impatto della resistenza agli antimicrobici nel settore della salute umana e nel settore veterinario una prospettiva di “One Health” (2012/C211/02) che, sotto forma di “Invito”, richiama gli Stati Membri e la commissione ad uno sforzo attivo su vari argomenti, tra cui:
- lavorare attivamente per promuovere iniziative internazionali per limitare il volume d’uso degli antimicrobici, specialmente per gli Antibiotici di Importanza Critica, che dovrebbe includere requisiti condivisi a livello internazionale in materia di prescrizione degli antimicrobici, in materia di vigilanza e di reporting sull’uso degli antimicrobici e sull’antibioticoresistenza, e una sorveglianza ed un divieto globale dell’uso degli antimicrobici in funzione di promotori di crescita negli animali;
- lavorare attivamente per promuovere l’adozione di norme a livello internazionale, anche attraverso risoluzioni del WHO e dell’OIE e le norme del Codex Alimentarius, per la sorveglianza e la reportistica sull’uso degli antimicrobici e sull’antibioticoresistenza.
- collaborare strettamente con l’ECDC, EFSA e EMA nel rafforzare il monitoraggio circa l’emergenza ed i trend dell’antibioticoresistenza negli esseri umani, negli animali e negli alimenti nell’Unione Europea.
(http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2012:211:0002:0005:EN:PDF).
La tecnologia ABT “AXIVIRIUM BIACTIVE TECNOLOGY” è una valida risposta proposta alle criticità sin ora descritte, oltre a rientrare pienamente di diritto nelle Biotecnologie Mediche classificate “Biocircular economy”.
In tal senso, una sola apparecchiatura ABT 9000 si stima possa catturare circa 24 tonnellate annue (ipotizzando un pieno al giorno) e inertizzare con un’azione biologica (denaturazione/inibizione) i nuclei interni alle Rna resistenti, presenti nel Dna.
Tale aspetto è garantito da ABT in considerazione delle caratteristiche del Dispositivo Axivirium, il quale è un disinfettante in classe IIb conforme alla Lg. 745/2017 regolatoria dei Medical Device. Oltre all’uso di chimici indicati da Dlg. Inail sicurezza, quali Chlorine&Soda e Carbonato di sodio come agenti neutralizzanti. La tecnologia realizzata è dotata di autotermodisinfezione e di tutte le certificazioni necessarie comprese le validazioni Cliniche attestanti le proprietà dichiarate. Altri vantaggi generati, sono inerenti alla difesa ambientale nel rispetto degli accordi stato-regione tra Ministero della Salute e quello dell’Ambiente. La tecnologia soddisfa infatti l’art. 214 del dLg 152/2006 inerente la riduzione di rifiuti speciali e la loro gestione in sicurezza.
Il sistema è unico ed esclusivo, dotato di due patent PCT internazionali e realizzato nel rispetto delle recenti normative ISO 62366 Usability al servizio delle risorse umane impiegate. La nuova proposta “ABT” fornisce ulteriori vantaggi sulla gestione delle risorse umane, migliorando le condizioni psico-fisico-relazionali e organizzative che ne caratterizzano il lavoro all’interno delle aziende sanitarie.
Bibliografia
- Infezioni correlate all’assistenza (ICA) e la loro prevenzione (Concetta Lombardi Giocoli, Rocco Latorraca, Bruno Masino – Adafor);
- La prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza. Problemi reali, soluzioni pratiche (Sanjay Saint, Sarah Krein, Robert W. Stock – Firenze University Press)
- A.P.I.C.E. Anaesthesia, pain, intensive care and emergency medicine. (A. Gullo)
- La prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza. (Sanjay Saint, Sarah Krein, Robert W. Stock);
- Prevenzione delle infezioni nosocomiali (WHO – Minerva medica- Edizione italiana, Cariti G., Sciandra M).
- Infection control in the intensive care unit. (Springer Verlag).
- Terapia empirica delle infezioni batteriche (Concia Anna Mazzini, Michela Conti, Cortina Verona);
- The Lancet Infectious Deseases (Cassini e colleghi, 2018);
- Bourden dell’antibiotico resistenza in Europa: nuove prospettive per nuovi obiettivi (SIM, 2018);
- RTC – Research Toxicology Centre, Roma: Titolo dello Studio: “Axivirium – Acute dermal irritatio study in the rabbit – Final Report (RTC Study No: 8931-1);
- RTC – Research Toxicology Centre, Roma: Titolo dello Studio: “Axivirium – Single dose oral toxicity study in the rat – Final Report (RTC Study No: 16880-1);
- ; Dipartimento Medicina Sperimentale, Università degli Studi “L’Aquila”:Titolo dello Studio: “Prove di irritazione dermale acuta e di sensibilizzazione dopo applicazione di Axivirium (in ottemperanza alle norme descritte dalle OECD guidelines N° 404 e N° 410 ed ISO 10993). (A. Pavan);
- La bibliografia riguardante Axivirium è stata aggiornata in conformità alla normativa EN14885 «Antisettici e disinfettanti chimici – Applicazione delle Norme europee concernenti gli antisettici e i disinfettanti chimici» che riporta i test da effettuare in base al settore d’uso specifico del disinfettante.
- Valutazione dell’attività anti-microbica in vitro dell’Axivirium nella prevenzione delle infezioni acquisite in ospedale: i dati evidenziano che Axivirium ha dimostrato un’ottima attività anti-microbica; una riduzione di > 5 logaritmi in 5 minuti di tempo dii azione è stata osservata in molti ceppi normalmente presenti negli ospedali, frequentemente associati ad infezioni nosocomiali.
- – U.S. Labs in collaborazione con il Centro Diagnostico Jacaroni, titolo dello Studio: “Determinazione del processo di decontaminazioni tramite applicazione con disinfettante ad alto livello Adantium Plus in macchina Hygenio” (UNI EN ISO 11737-1:2006)
- – Test di inattivazione VIRALE
- La formulazione realizzata con principio attivo Diphedac® è stata sottoposta a test di inattivazione virale in condizioni di temperatura ambientale nel tempo unico di tre minuti in presenza di siero fetale bovino al 5%: studi in BPL condotti secondo gli standard previsti da U.S. Enviromental Protection Agency in merito alla caratterizzazione e alla stabilità del composto sulle seguenti cellule virali: – Human Coronavirus ATCC VR-740, Strain 229E – Herpes Simplex virus type ATCC VR734, Strain – Human Influenza A-type 1-Hepatitis C – B – Human Immunodeficiency virus type 1 (HIV).
- Study Directory: Mary J. Miller – Douglas G. Anderson – Karen M. Ramm – Jennifer Palmen – Tonia Bevers ATS LABS – Saint. Paul, MN 55120 – USA.