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L’intervento fisioterapico nel paziente con piede diabetico

Essay
Authors: Ciriello Marina,Calabrese Mariaconsiglia
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Authors
Pub.Info
DOI
Pub.Info

Submission Date: 2019-09-03
Review Date: 2019-09-12
Pubblication Date: 2019-09-16
Printed on: Volume 1, Issue II

Introduzione

Il seguente lavoro è il risultato della nostra esperienza e di un approfondimento sulla Riabilitazione del paziente affetto da Piede Diabetico, fatta in occasione del Convegno su “LA RIABILITAZIONE NELLA PATOLOGIA PODOLOGICA” organizzato dall’Ordine TSRM e PSTRP di Napoli, Caserta, Benevento e Avellino, tenutosi a Caserta 23 giugno 2019,nell’ambito del quale ci è stato chiesto di tenere un intervento su “Il piede diabetico. Riabilitazione”

Abbiamo scelto di non citare nel seguente lavoro la artropatia di Charcot, perché, questa gravissima condizione clinica meno comune di piede diabetico, richiederebbe un lavoro di approfondimento specifico.

Il diabete è una malattia cronica complessa, in forte progressivo aumento a livello mondiale, favorito dall’incremento di età media, vita sedentaria ed obesità. Il diabete mellito è infatti oggi una delle più comuni malattie non trasmissibili in tutto il mondo, con circa 366 milioni di persone affette (prevalenza 5,9%), di cui il 46% nella fascia di età compresa tra 40 e 59 anni ed è la quarta o quinta causa di morte nella maggior parte dei paesi sviluppati

Si stima che nel 2030 saranno 552 milioni, con una prevalenza del 7,3%.(Klatt EC, 2017)

In molti paesi in via di sviluppo e di recente industrializzazione il numero di pazienti affetti da diabete cresce a ritmi vertiginosi.

In particolare il diabete di tipo 1 rappresenta una piccola percentuale del totale della popolazione di pazienti con diabete mentre il diabete di tipo 2 rappresenta circa il 85-90% di tutti i diabetici nei paesi sviluppati e rappresenta una percentuale ancora più elevata nei paesi in via di sviluppo. Tra l’altro il diabete di tipo 2 è in aumento tra i giovani di tutto il mondo ( Gruppo di Studio Intersocietario Piede Diabetico SID-AMD 2010)

Costituisce dunque un problema sanitario e sociale sempre più gravoso anche per la spesa pubblica

La gravità di questa malattia è legata alla caratteristica progressione della malattia e alla conseguente insorgenza delle complicanze d’organo, legate all’alterazione metabolica ed in particolare alla microangiopatia diabetica

Tra le complicanze del diabete un ruolo sempre più rilevante assume la complicanza “piede diabetico”. È questa la complicanza che comporta per i diabetici il maggior numero di ricoveri ospedalieri

E ’ stato stimato che il 12% -25% delle persone con diabete si presenterà a un istituto di cura per qualche tipo di disturbo del piede (Cavanagh PR, e al. 2005; Singh N, e al 2005 )

 Questa complicanza rappresenta un grande problema personale per ogni malato, perché ne peggiora drasticamente la qualità di vita, ma anche un notevole onere finanziario per la Sanità e per la società in generale. Infatti questa condizione patologica determina un consumo di risorse pari al 25 per cento circa della spesa complessiva per l’assistenza ai pazienti diabetici. Il piede diabetico tra l’altro rappresenta il 2-4 per cento di tutti i ricoveri per diabete. (Società Italiana di Diabetologia 2019)

Il piede diabetico

Il piede diabetico, secondo l’OMS, è una condizione di infezione, ulcerazione e/o distruzione di tessuti profondi associata ad anomalie neurologiche e a vari gradi di vasculopatia periferica degli arti inferiori. Le ulcere diabetiche sono ferite complesse e croniche che possono avere un grande impatto a lungo termine sulla morbilità, sulla mortalità e sulla qualità di vita dei pazienti

L’ulcera del piede interessa più del 15% dei diabetici, e, soprattutto quando complicata da infezione, può mettere a rischio l’arto, se non la vita stessa del paziente (O’Meara S, e al 2000)

Le ulcere del piede diabetico infatti spesso si traducono in esiti gravemente avversi, come infezioni gravi, comportano la necessità di ricovero in ospedale e possono condurre ad amputazioni agli arti inferiori, che sono associate a una mortalità a 5 anni di circa il 50% ((Most RS, Sinnock P. 1983;Armstrong DG, e al 2011; Lipsky BA, e al. 2012)

Come si vede dalla figura 1 in realtà a correlarsi ad un alto rischio di mortalità a 5 anni, non è solo l’amputazione (47%), ma la stessa presenza di ulcera diabetica (46%)

Fig. 1 – Mortalità a 5 anni da: International Best Practice Guidelines: Wound Management in Diabetic Foot Ulcers. Wounds International, 2013

La qualità di vita del paziente con ulcera del piede risulta gravemente compromessa per i lunghi tempi di guarigione e per la necessità di una continua sorveglianza. La chiusura dell’ulcera infatti non rappresenta la risoluzione della malattia, ma solo la remissione del quadro clinico che può recidivare in oltre il 40 per cento dei pazienti. Questi pazienti inoltre presentano spesso comorbidità multiple: nel 50 per cento dei pazienti con arteriopatia periferica è presente anche cardiopatia ischemica, nel 30 per cento vasculopatia dei tronchi sovraortici, nel 20 per cento entrambe le patologie. (Società Italiana di Diabetologia,2019)

Il piede diabetico ha una patogenesi multifattoriale, legata alla presenza di neuropatia periferica ed autonomica, vasculopatia degli arti inferiori, e infezioni ricorrenti (maggiore causa di amputazioni).

Poiché disturbi ed ulcerazioni possono essere in rapporto alla sofferenza vascolare o a quella nervosa si parla anche di piede diabetico ischemico o vasculopatico e di piede diabetico neuropatico. Clinicamente spesso le due forme coesistono.

La Polineuropatia diabetica- Diabetic Polyneuropathy DPN rappresenta la condizione sottostante alle ulcerazioni in più dell’85% dei casi così come in più del 85% è la prima componente nella catena causale che porta all’amputazione. (Vincenza Spallone, Cristiana Vermigli 2016)

La patogenesi della neuropatia diabetica è complicata.

Quello che è certo che agisce attraverso meccanismi vascolari e metabolici.

Per quanto riguarda il meccanismo vascolare è stato imputato l’accumulo di sostanze PAS-positive nei vasa nervorum che porta al quadro di una microangiopatia caratterizzata da ispessimento della parete vasale, ialinizzazione, alterazioni ostruttive e conseguenti fenomeni ischemici (Ellemberg M. 1976.)

L’ipotesi che attribuisce lo sviluppo della neuropatia diabetica ad una alterazione del metabolismo neuronale o del metabolismo lipidico o delle vie metaboliche secondarie degli zuccheri sostiene la lesione della cellula di Schwann (Greene et al., 1988) con fenomeni di degenerazione assonica e demielinizzazione secondarie. Questi danni sarebbero la conseguenza di un’imbibizione di gocce lipidiche nella cellula di Schwann con ispessimento della membrana basale.

Altro meccanismo invocato è l’aumentata attività della via dei polioli (Winegard et al., 1983), con diminuzione della concentrazione di mio inositolo che porterebbe imbibizione ed edema cellulare, quindi necrosi e demielinizzazione ma anche sofferenza della fibra nervosa con sofferenza assonale, fino all’atrofia completa della fibra nervosa, con perdita delle connessioni e successiva denervazione delle strutture periferiche.

Altra ipotesi etiopatogenetica per l’insorgenza della neuropatia diabetica è quella legata alla glicosilazione delle proteine del nervo; infatti le proteine glicosilate della mielina sarebbero attaccate e digerite dai macrofagi con conseguente perdita segmentaria della mielina (Zilli T., Biondi M 1992).

Con il tempo nei pazienti neuropatici si instaura un quadro clinico di una neuropatia mista, cioè di tipo sensitivo-motorio- vegetativo.

La neuropatia periferica può manifestarsi come incapacità di rilevare variazioni di temperatura, vibrazioni, propriocezione, pressione e dolore.

 La presentazione clinica di DPN può essere abbastanza variabile.

I pazienti possono presentare sintomi “positivi” o “negativi”. I sintomi per interessamento sensitivo positivi sono quelli riferiti dal paziente come la parestesia, l’iperestesia, il bruciore, l’allodinia I sintomi negativi sono generalmente svelati mediante esame clinico, come la ipo/anestesia.

Una grave conseguenza quindi è la diminuzione della soglia del dolore che consente ad una azione traumatica di perdurare nel tempo tanto da determinare una lesione senza che si abbia la percezione di alcun segnale premonitore.

La neuropatia autonomica comporta secchezza (anidrosi) del piede dovuta al cattivo funzionamento delle fibre nervose che regolano l’attività delle ghiandole secretorie della cute. La secchezza può facilitare e provocare fissurazioni della cute che sono una facile porta di ingresso per i germi, anche a causa del diverso pH della pelle che si viene a creare per l’anidrosi.

Tra l’altro la neuropatia autonomica comporta una perdita del tono simpatico con relativa alterazione del flusso circolatorio al livello del microcircolo.

I segni positivi dell’interessamento neuropatico motorio, meno frequenti, sono le fascicolazioni e le fibrillazioni.

I Segni negativi della neuropatia motoria sono la debolezza muscolare (sicuramente il più frequente), l’iporeflessia e l’areflessia.

La neuropatia motoria, nel diabetico crea uno squilibrio tra muscoli estensori e flessori e un conseguente sbilanciamento tra le varie articolazioni.

Il risultato finale sarà la griffe delle dita (dita ad artiglio), le dita a martello, l’accentuarsi del cavismo del piede o la prominenza delle teste metatarsali.

Queste menomazioni alimentano un circolo vizioso che altera progressivamente la distribuzione della pressione plantare e peggiora le condizioni dei piedi

Le alterazioni nella struttura del piede, inclusa la perdita di flessibilità e mobilità, pregiudicano la capacità del piede di assorbire e ridistribuire le forze relativo all’impatto con il terreno mentre si cammina.

La perdita di flessibilità e mobilità e le deformità tra l’altro sono favorite da una aumentata glicosilazione del collagene nella pelle e nel tessuto periarticolare (tendine, legamenti e capsula articolare), (Crisp A.J. Heathcote J.G. 1984)

Infatti lo sviluppo delle deformità del piede è un fattore importante nel modificare le pressioni a livello della volta plantare,e, tra l’altro, le deformazioni dei piedi possono comparire già prima dell’esordio dei sintomi caratteristici del diabete.

La polineuropatia impatta sulla qualità di vita dei pazienti diabetici, come dimostrato dalla indagine condotta negli Stati Uniti su 255 pazienti con DPN (Gore M e al 2006). E’ infatti emerso che lo stato di salute, misurato con EuroQoL ( EQ-5D), l’esperienza del dolore misurata con Brief Pain Inventory-DPN, la mobilità, l’attività e la produttività erano nettamente peggiori nei pazienti rispetto alla popolazione generale.

Riassumendo, a causa della presenza di una polineuropatia diabetica, della malattia arteriosa periferica e della aumentata glicosilazione del collagene nella pelle e nel tessuto periarticolare, e della diminuita degradazione del collagene si realizza una riduzione della mobilità articolare, una riduzione della capacità muscolare e viene favorita la formazione di deformità del piede, con conseguenti alterazioni della postura e alterazioni biomeccaniche.

Queste menomazioni alimentano un circolo vizioso che altera progressivamente la distribuzione della pressione plantare e peggiora le condizioni dei piedi.

Il piede nel tentativo di difendersi, determinerà in queste aree di iperpressione un’ ispessimento dello stato corneo ( ipercheratosi) dove, se l’iperpressione in quel determinato punto perdura, si potrà andare incontro alla formazione di un ematoma da schiacciamento che inevitabilmente, col perdurare del sovraccarico pressorio, produrrà una lesione ulcerativa. Fig 2

Fig. 2

La comparsa di un’ulcera, che compare spesso anche dopo traumi fisici, ma anche termici, di lieve entità, in un paziente diabetico ne condiziona in maniera importante la qualità di vita ma anche la sopravvivenza.

Questa sindrome ha però un decorso tipicamente subdolo ed asintomatico nelle sue fasi iniziali.

Purtroppo, l’insorgenza di sintomi conclamati è associata alla compromissione di funzionalità totale o parziale dell’area interessata. Appare quindi chiara l’importanza della prevenzione.

La prevenzione prevede per i pazienti diabetici l’identificazione di quelle condizioni di rischio attraverso un esame clinico, lo screening neuropatico eseguito con la valutazione della sensibilità tattile attraverso il Monofilamento di Semmes-Weinstein, di quella vibratoria, attraverso l’utilizzo di un diapason o di un biotesiometro, e la compilazione dell’indice neuropatico o Diabetic Neuropathy Index ( un DNI > 2 è indicativo di neuropatia diabetica), la valutazione delle alterazioni biomeccaniche e delle alterazioni cutanee e lo screening vascolare. Ma soprattutto si attua attraverso l’intervento educativo rivolto al paziente ed ai suoi familiari.

La società Italiana di Diabetologia ha stilato il decalogo delle regole che il paziente deve seguire per prevenire questa complicanza. Fig 3

Fig. 3 – (Società Italiana di Diabetologia, 2019)

Tutti i pazienti diabetici a rischio dovrebbero ricevere una adeguata educazione, visto che la prevenzione può ridurre drasticamente la formazione di ulcere, e diminuire le probabilità di arrivare alle amputazioni.

La Riabilitazione

La Riabilitazionepuò avere un ruolo importante già nella fase di prevenzione del piede diabetico.

In una revisione pubblicata nel 2014 dal gruppo toscano di Piergiorgio Francia (Francia P, e al 2014) vengono analizzati tutti gli effetti positivi dell’esercizio terapeutico nella prevenzione oltre che nel trattamento del piede diabetico.

Gli autori, analizzando la letteratura concludono che alcuni dei fattori di rischio migliorano in modo significativo dopo alcune settimane di intervento di esercizio terapeutico (ET) e suggeriscono che l’ET può essere un’arma importante nella prevenzione dell’ulceradel piede diabetico. Dagli studi emerge infatti che un programma di esercizi migliora la mobilità articolare, la stabilità posturale e la capacità muscolare.

E’ stato dimostrato da diversi studi che la maggior parte dei deficit motori e funzionali nei pazienti con diabete migliora significativamente dopo brevi periodi di Esercizio terapeutico e i pazienti possono raggiungere quasi il livello delle prestazioni del gruppo di controllo sano (Allet L, 2010; Brandon LJ,e al 2003; Francia P e al 2015; Nicolucci A, al 2012).

Nei pazienti con DNP i muscoli a livello della caviglia possono avere riduzione di forza del 40% -60%, ma possono essere recuperati con alcune settimane di ET. Da diversi studi emerge che l’esercizio fisico terapeutico è in grado di migliorare il controllo della glicemia e della sensibilità all’insulina ( Maurer MS, e al. 2005; Francia P, e al 2013; Amin R e al 2005; Arkkila PE, e al 1994; Arkkila PE,e al 1997) comportando così un ridotto rischio di sviluppare neuropatia ( Brooks N e al. 20016; Smith AG, e al 2006).

L’esercizio fisico terapeutico influenza positivamente anche altri fattori patologici che si associano alla polineuropatia diabetica, promuovendo la funzione micro vascolare e l’ossidazione dei grassi, riducendo lo stress ossidativo e aumentando i fattori neurotrofici (Colberg SR, e al 2010).

L’esercizio fisico terapeutico ha un ruolo importante nel controllo della neuropatia diabetica: in un RCT di 4 anni, quattro sessioni settimanali di tapis roulant eseguite a bassa intensità hanno comportato un minor rischio di sviluppare neuropatia motoria o sensoriale (Balducci S, e al 2006) modificando così la storia naturale del neuropatia periferica nel diabetico.

Uno studio ha riportato una migliore funzione dell’attività dei nervi periferici con una riduzione del dolore e dei sintomi neuropatici in pazienti con DPN dopo 10 settimane di attività terapeutica consistente in esercizi aerobici e di resistenza (Kluding PM,e al 2012).

Sono noti poi gli effetti positivi dell’esercizio terapeutico sulla arteriopatia periferica, effetti collegati ad un miglioramento nella funzione endoteliale, dello stress ossidativo, e della risposta infiammatoria.

Inoltre l’esercizio terapeutico migliora la perfusione e la viscosità del plasma facilitando rilascio di ossigeno, il metabolismo e la forza dei muscoli scheletrici nei pazienti diabetici con arteriopatia periferica-PAD (Balducci S, e al 2006; Balducci S e al 2012; Colberg SR, e al 2010; Stewart KJ a al 2002).

Nei pazienti diabetici l’esercizio terapeutico oltre a migliorare la forza muscolare e il controllo del glucosio migliora la sensibilità baroriflessa ( BRS ) nei soggetti con diabete di tipo 2 (Loimaala A, 2003).

Ma poiché fattori come la mobilità articolare limitata e le anomalie muscolari sono considerate un rischio importante fattori per l’ulcerazione del piede in pazienti diabetici con un diretto.
impatto sulla qualità della postura e dell’andatura anche l’intervento sulla mobilità articolare di tutti i distretti interessati nella statica e nella deambulazione, ma in particolare sul piede, sulle articolazioni metatarso-falangee e subtalari e per il miglioramento della elasticità della fascia plantare e del tendine di Achille, sembrano direttamente prevenire le condizioni di ulcerazione del piede.

Gli esercizi per migliorare il movimento articolare, quindi, gli esercizi di stretching, gli esercizi secondo il protocollo Buerger-Allen, gli esercizi propriocettivi e di equilibrio possono migliorare il circolo a livello dei piedi, possono aumentare l’input sensoriale nei pazienti diabetici con polineuropatia, migliorando così la loro percezione e la capacità di proteggere l’estremità, e portare ad un ridotto rischio di caduta correlata e migliorare l’equilibrio e il coordinamento. (Goldsmith JR, e al, 2002; èTuran Y, e al 2015).

Gli esercizi di Buerger-Allen vengono consigliati a tutti i pazienti diabetici a rischio di sviluppare piede diabetico.

Si tratta di un protocollo molto semplice da eseguire, che il paziente può utilizzare a casa quotidianamente. Lo scopo è quello di migliorare il flusso di sangue alle estremità.

Durante l’esecuzione di questo esercizio il paziente deve stare in posizione supina per alcuni minuti, sollevando i piedi su un piano più alto, di circa 45 gradi, fino a quando il colore della pelle si sbianca, in genere 2-3 minuti.

Poi, il paziente si siede con i piedi fuori dal letto e tiene i piedi in basso fino a quando appare il rossore, muovendoli in flessione, estensione, pronazione e supinazione, circa 5-10 minuti.

I piedi dovrebbero diventare rosa dopo aver praticato questi movimenti; se diventano blu o dolorosi, il paziente dovrebbe sollevare nuovamente i piedi su un piano più alto e riposare, se necessario.

 Alla fine dell’esercizio, il paziente deve giacere in posizione supina per 5 -10 minuti, mantenendo il piedi caldi avvolgendoli con una coperta. Fig 4

Fig. 4 – Esercizi di Buerger-Allen, da Miler-Keane Encyclopedia and Dictionary of Medicine, Nursing, and Allied Health, 7° Edizione. 2003 Saunders, stampato da Elsevier

Dai risultati di un recente studio quasi sperimentale (Towar Shilshi Lamkang, e al 2107)che ha arruolato 60 pazienti risulta che esiste una differenza nel livello di perfusione degli arti inferiori prima e dopo la somministrazione degli Esercizi Buerger Allen nel gruppo sperimentale di pazienti con diabete di tipo 2 statisticamente significativa (p <0,001).

Nel soggetto diabetico cronico è importante dunque, oltre all’esame accurato dei piedi, la valutazione del modo di camminare e la correzione degli errori sia nella postura che nella deambulazione.

E’ infatti possibile collegare deformità e lesioni del piede ad errori nella maniera di muoversi del paziente.

Obiettivi del fisioterapista sono migliorare l’ attività muscolare e correggere errori di postura e cammino, anche attraverso la scelta di plantari adatti alle caratteristiche del paziente. (Van Deursen R. 2008).

E’ infatti importante il lavoro multidisciplinare che vede il fisioterapista interagire con il podologo ed il tecnico ortopedico per la scelta e l’utilizzo dei presidi che hanno lo scopo di riequilibrare l’appoggio del piede, difendendolo dal trauma cronico.

Le scarpe devono evitare frizioni (con calze senza cuciture), adattandosi alle deformità del piede e variandone l’appoggio con suole modificate a secondo della necessità. L’interazione tra appoggio, calzatura e rieducazione motoria è comprensibile e guida infatti il programma fisioterapico, adattato al singolo paziente (Owings TM e al 2009; Bus SA, 2012 )

L’utilità del movimento e dell’esercizio terapeutico nella prevenzione dell’ulcera diabetica è stato oggetto di una revisione recentissima (Francia P, e al 2019 ).

 Gli autori sottolineano come la complessità della patogenesi multifattoriale dell’ulcera del piede diabetico rende difficile il trattamento di questi pazienti ma che la ​​considerazione tempestiva di tutto ciò è importante anche per garantire un trattamento adeguato attraverso l’attività fisica.

 Gli autori dichiarano che l’uso delle moderne tecnologie e di dispositivi di recente acquisizione consente la valutazione, la descrizione ed il monitoraggio dell’attività motoria quotidiana e dell’ attività fisica anche a lungo termine, e i dati raccolti da questi dispositivi possono essere utilizzati per gestire correttamente l’attività fisica dei pazienti e quindi contribuire alla prevenzione delle ulcere del piede. fig5

Fig. 5 – I tre capisaldi “della gestione dell’attività fisica; il possibile ruolo del monitoraggio del movimento continuo nella prevenzione dell’ulcera del piede diabetico. Francia P, e al 2019

Gli autori rilevano che anche se il movimento e soprattutto la deambulazione sono un elemento chiave della terapia per i pazienti diabetici, è importante considerare che questa attività è allo stesso tempo stressante per i piedi e può causare lesioni; per questo dovrebbe essere accuratamente valutata, monitorata e gestita.

Questo supporta quanto sostiene chi si occupa di Riabilitazione: nei pazienti diabetici l’attività fisica non può non essere terapeutica, e gestita da professionisti sanitari, anche tenendo conto delle svariate comorbidità, spesso di tipo cardiovascolare, che affliggono i diabetici.

Gli autori hanno rilevato, dalla revisione effettuata, risultati contrastanti relativamente alla correlazione diretta tra inattività e formazione dell’ulcera. Questo perchè i pazienti possono avere stili di vita potenzialmente dannosi come quelli che tendono ad aumentare in misura pericolosa gli stress plantari del piede. Per questo motivo suggeriscono l’utilizzo di sistemi di Monitoraggio Continuo di Movimento (CMM) per evidenziare quelle attività non congrue da sconsigliare e aiutare i pazienti a modificare il loro stile di vita quotidiano per prevenire le ulcere.

Ma l’esercizio terapeutico è utile anche nei pazienti con ulcera.

Durante la fase terapeutica l’intervento multidisciplinare è sicuramente d’obbligo.

Le lesioni ulcerative devono essere trattate con la massima cura dal podologo e dal medico, ma la fisioterapia ha un suo ruolo anche in questa fase.

Nei pazienti con ulcera del piede diabetico, Flahr e collaboratori hanno valutato gli effetti di esercizi praticati per 12 settimane, e i pazienti che praticavano il programma di esercizi hanno avuto una più veloce guarigione dell’ulcera rispetto a coloro che non hanno partecipato agli esercizi. Gli autori ritengono che il meccanismo di azione di questi esercizi sia legato all’aumento del flusso di sangue nella regione, con conseguente miglioramento della guarigione delle ferite. (Flahr D. 2010)

Compito del riabilitatore non è però solo quello di favorire il recupero dei compiti di sostegno, spinta e ammortizzamento del piede, ma anche e soprattutto quello di favorire il recupero della adattabilità permessa dalle strutture neurologiche. (C. Perfetti 1984)

Il piede è infatti una struttura estremamente complessa, sia dal punto di vista muscolare ed articolare, che dal punto di vista delle strutture neurologiche deputate alla elaborazione della sua motricità. E’ una struttura dinamica, altamente raffinata, informativa e adattabile in grado di svolgere compiti sensoriali e motori con estrema precisione.

La muscolatura intrinseca ed estrinseca del piede ha il compito di ammortizzare l’impatto del piede con il terreno e sostenere gli archi del piede necessari per sostenere lo stress durante la fase di risposta al carico

Ma il piede ha un compito non solo di sostegno, ma anche di raccogliere informazioni indispensabili per l’organizzazione del movimento, relative alle caratteristiche del suolo (orizzontalità, resistenza) e al rapporto corpo-suolo (entità e qualità del carico trasferito).

Il piede è infatti ricchissimo di elementi recettoriali, i recettori della cute e del sottocute, quelli articolari (capsula e legamenti), e quelli muscolari. La pianta del piede ha recettori cutanei per la sensibilità superficiale e pressoria, in particolari zone più presenti (sotto il 1 e 3 e 5 dito).

Il ruolo della pelle e del sottocute del piede non è limitato infatti solo alla raccolta di informazioni tattili: la differenziazione della pianta del piede in varie zone recettive caratterizzate da diversa sensibilità descriminativa sia superficiale che di pressione, e lo stiramento della pelle come elemento modificante la soglia della sensibilità cutanea sono necessari per l’acquisizione di informazioni relative all’entità e alla modalità in senso direzionale del trasferimento del carico.

La muscolatura intrinsecadel piede ha sicuramente un ruolo importante nel favorire l’adattabilità del piede al compito conoscitivo, perché favorisce l’adattabilità delle volte plantari alle varie condizioni di interazione corpo-suolo sotto l’effetto del carico. Ne è prova il fatto che spesso la patologia in genere, se non in casi gravi, pur non distruggendo la funzione di sostegno del piede, ne riduce l’adattabilità, come nell’Ictus, per esempio.

Il piede, attraverso una adeguata frammentazione, rappresenta un recettore di superficie estesa altamente adattabile in relazione sia al tipo di terreno e agli scopi della persona durante le diverse attività che coinvolgono gli arti inferiori.

La capacità di frammentazione è una caratteristica evoluta del movimento umano: il corpo si divide in parti che si muovono contemporaneamente, e diversamente per un solo scopo, per costruire l’informazione. Nelle fasi di appoggio, carico e spinta, dalla fase 0% alla fase del 60% della deambulazione il piede svolge questa funzione differenziando la sua risposta in base al compito della fase e adattandosi in base alle informazioni che arrivano dal suolo e dal rapporto con il suolo.

Nel paziente affetto da piede diabetico è possibile rilevare, quali elementi dello specifico patologico, una alterazione dell’ informatività tattile, pressoria e cinestesica; alterazioni della informatività dolorifica; deficit della programmazione cinematica; deficit delle proprietà emergenti quali la variabilità e la frammentazione. (Bus SA. 2012)

Le proprietà emergenti sono legate alla capacità di stabilire corretti rapporti spaziali, la capacità di valutare la resistenza opposta e la capacità di risposta proporzionata alla resistenza.

L’intervento riabilitativo attraverso l’approccio Neurocognitivo, in particolare l’Esercizio Terapeutico Conoscitivo- Confronto fra Azioni, (Perfetti C. 2011; Perfetti C, 2013) mira ad agire su questi elementi patologici, e può favorire il miglioramento del sistema funzionale della deambulazione, il miglioramento della distribuzione del carico, la riduzione dell’affaticamento degli arti, il recupero delle proprietà emergenti, il miglioramento della sensibilità vibratoria e tattile e la riduzione del dolore neuropatico.

In particolare una corretta informatività, una corretta frammentazione e una corretta distribuzione del carico può evitare o ritardare l’insorgenza di aree di ipercarico, sotto le quali molto spesso si ha la formazione di un ematoma, che può esitare nell’ulcera.

A nostro avviso la valutazione che deve precedere un intervento riabilitativo che intenda agire su questi aspetti, e ovviamente deve verificarne l’efficacia, dovrebbe prevedere l’utilizzo di sistemi di valutazione della sensibilità tattile, per esempio attraverso l’utilizzo del filamento di Semmes-Weinstein, della sensibilità dolorifica con scala VAS e test DN4 (Bouhassira D 2005), attraverso l’utilizzo della LANSS (The Leeds Assessment of Neuropathic Symptoms and Signs -LANSS Pain Scale – Bennet M 2001), della distribuzione del carico con pedana baropodometrica, o della deambulazione con gait-analysis.

Se pur non suffragato da studi specifici presenti nella letteratura biomedica, l’approccio neuro cognitivo ha in se le caratteristiche e le premesse scientifiche per incidere in maniera significativa sulla patologia del piede diabetico.

Ogni intervento fisioterapico va comunque inserito in una presa in carico globale e multidisciplinare del paziente, che coinvolga altre figure professionali, e in particolare va associata ad uno specifico lavoro di “counselling” che aiuti il soggetto a riprendere cura della sua persona, con norme igieniche specifiche e generali.

Discussione e Conclusioni

È indubbio, quindi, che l’esercizio terapeutico è una importante risorsa nella presa in carico del paziente con piede diabetico e pertanto, andrebbe inserito nei progetti di presa in carico dei pazienti diabetici, a rischio di piede diabetico o con piede diabetico già presente, anche quelli previsti all’interno dei Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali- PDTA.

I risultati hanno costantemente dimostrato di essere migliori quando vengono curati questi pazienti con un approccio multidisciplinare o, più precisamente, interdisciplinare. Le discipline coinvolte dovrebbero includere in modo ottimale un diabetologo, uno specialista in malattie infettive / microbiologia, un chirurgo esperto plastico, un ortopedico, un podologo, un angiologo o chirurgo vascolare e un fisioterapista. (Thuran, Y. 2015)

La Riabilitazione e l’intervento fisioterapico possono svolgere un ruolo importante accanto agli interventi che favoriscono il controllo metabolico, e che migliorano la condizione neuropatica nei diabetici.

Le grandi potenzialità dell’esercizio terapeutico, oltre al miglioramento del metabolismo e della forza dei muscoli scheletrici, della flessibilità e mobilità del piede, della sua capacità di assorbire e ridistribuire le forze relativo all’impatto con il terreno, della capacità di adattare le volte plantari alle varie condizioni di interazione corpo-suolo, sono anche nella sua capacità di migliorare la funzione endoteliale, nella sua capacità di ridurre lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria, e nel favorire un aumento dei fattori neurotrofici.

Oggi è quindi impensabile non tener conto di queste grandi potenzialità che possono tradursi in un miglioramento della qualità di vita, e della stessa sopravvivenza di questi pazienti ma anche in diminuzione dei costi sanitari legati alla morbilità e alla disabilità così spesso associate a questa condizione nelle sue fasi più avanzate.

References

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