Authors:
Dott. Cioffi Dante Luigi1, Dott. Marcantonio Roberto1, Dott. Marseglia Gianluca1, Dott. Valentino Leopoldo1, Dott. Esposito Alessandra1, Dott. Sito Fabio1
1 Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Pubblication Date: 2020-05
Printed on: Volume 2, Special Issue - HSE Symposium 2019, Publications
INTRODUZIONE
Nell’ottica di ridurre il più possibile il rischio di eventi cardiovascolari maggiori e di migliorare la salute cardiovascolare (SCV) delle persone, l’American Hearth Association (AHA) ha sviluppato una sorta di prescrizione per la salute denominata “Life’s Simple 7”, nella quale sono individuati e descritti i sette principali predittori modificabili di malattia cardiovascolare (MCV) e sono illustrate le procedure da seguire per ottenere una ideale SCV. Gli indicatori sono quattro di tipo comportamentale e tre indici biometrici: abitudine al fumo, obesità (calcolata mediante l’indice di massa corporea, IMC), dieta non adeguata, inattività fisica, pressione arteriosa, valori di colesterolo totale e glicemia (Benjamin e coll. 2019).
Tra questi, l’inattività fisica rappresenta un fattore maggiore del rischio di MCV, configurandosi come il quarto principale fattore di rischio di mortalità globale.
Attualmente nella popolazione mondiale la prevalenza di inattività fisica ha raggiunto valori pari a 35%, superando anche quella del fumo (26%); essa è responsabile di circa 1-2 milioni di morti l’anno e di 12,2% del carico globale di infarto al miocardio. Si è calcolato che da sola nel 2013 sia costata ai sistemi sanitari di tutto il mondo circa 53,8 miliardi di dollari (Benjamin e coll. 2019). Al contrario, una regolare attività fisica comporta la riduzione di circa 20-30% della mortalità cardiovascolare e da altra causa negli individui sani, anche nei soggetti con fattori di rischio coronarico e nei pazienti con cardiopatie (Piepoli e coll. 2016). Va considerato che uno stile di vita sedentario rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per MCV indipendentemente dal praticare o meno attività fisica (Piepoli e coll. 2016). Anche un’ attività fisica non congrua, basata su bassa intensità ed eccessiva durata o comportante l’assunzione di posture incongrue, ridotti tempi di recupero, come accade, per esempio, nell’espletamento di mansioni lavorative (fig. 1), può produrre un effetto paradosso e ridurre la SCV (Holtermann e coll. 2018).

Quanto esposto fa comprendere come un’alta percentuale di lavoratori sia ad alto rischio di non effettuare una adeguata attività fisica, sia perché si tratta di persone che svolgono mansioni sedentarie e che adducono la mancanza di tempo come fattore causale dell’inattività, sia perché la attività occupazionale (la cosiddetta occupational physical activity, OPA) richiede grandi sforzi fisici resi, peraltro, in modo totalmente incongruo, ingenerando l’erroneo convincimento di fare già abbastanza attività durante l’orario di lavoro e la giustificazione di essere troppo stanchi per farne altra (Li e coll. 2012, Ferrario e coll. 2018, Poggio e coll. 2018).
Considerando i costi indiretti pari a circa 5 miliardi di euro come perdita di produttività, causati dall’insorgenza di eventi cardiovascolari nei lavoratori italiani (Mennini 2017), appare fondamentale l’ideazione di un sistema di promozione alla salute aziendale che miri ad ottenere il raggiungimento di un adeguato livello di attività fisica in tutti i lavoratori.
OBIETTIVI
Questo studio si muove nell’ambito di un più grande progetto dipartimentale di valutazione e riduzione del rischio cardiovascolare nei lavoratori dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, attraverso l’approfondimento sul tema dell’attività fisica tra il personale amministrativo e docente dell’Azienda. Scopo dello studio è, quindi, una valutazione del grado e della congruità dell’attività fisica svolta nel tempo libero da lavoratori impiegati in mansioni sedentarie, per determinarne l’adeguatezza ed eventualmente sviluppare un programma che consenta di migliorare la conoscenza e lo svolgimento di uno dei più importanti “Life’s simple 7”, per ottenere un livello ideale dello stesso in tutti i lavoratori coinvolti. Partendo da una prima fase pilota di ricognizione su un esiguo numero di dipendenti strutturati, sottoposti a Sorveglianza Sanitaria nel mese di aprile 2019, sono stati estrapolati i primi risultati e sono state condotte le osservazioni che hanno permesso la strutturazione di un adeguato programma di formazione e di informazione. La prossima tappa prevedrà di allargare la valutazione su tutti i dipendenti dell’Università, di applicare le misure correttive individuate e di rivalutare a breve, medio e lungo termine i miglioramenti ottenuti.
METODI
Sono stati analizzati i dati di 105 impiegati amministrativi e docenti dell’Università di Napoli “Federico II”, giunti presso l’Unità di Medicina del Lavoro per essere sottoposti alla Sorveglianza Sanitaria ai sensi del D. Lgs. 81/2008 nel mese di aprile 2019. Di ciascun dipendente sono state raccolte le informazioni su età, genere, altezza e peso (con successivo calcolo dell’IMC), abitudine tabagica (fumatore, ex fumatore, non fumatore), anamnesi patologica personale positiva per MCV, familiarità per MCV, presenza di obesità, diabete, ipertensione o ipercolesterolemia (in trattamento e non). Nello specifico, la presenza di obesità è stata valutata in base al valore di IMC secondo i seguenti intervalli:
- < 25 kg/m2: normopeso;
- 25 – 30 kg/m2: sovrappeso;
- > 30 kg/m2: obesità.
La familiarità per MCV è stata considerata positiva in presenza di un parente di primo grado con storia di eventi cardiovascolari maggiori prima dei 60 anni di età. È stata, inoltre, registrata la pressione arteriosa sistolica misurata durante la visita. Sono stati effettuati prelievi ematochimici, processati nel laboratorio di analisi della stessa Unità, per la misura dei valori di glicemia, creatininemia, colesterolemia totale e HDL. Tutti i dati sono stati utilizzati poi per calcolare il rischio di incorrere in eventi cardiovascolari maggiori nei 10 anni a venire tramite uno tra i più usati e apprezzati punteggi a oggi presenti nella letteratura scientifica: il QRISK2 (Hippisley-Cox e coll. 2008, Collins e coll. 2012, Hippisley-Cox e coll. 2014).

Esso è stato preferito, sebbene ideato e validato prevalentemente nel Regno Unito, per l’uso di un numero maggiore di fattori di rischio cardiovascolare e la maggiore precisione.
In base al risultato del QRISK2 si è suddiviso il rischio in:
- < 1%: irrilevante;
- 1-5% basso;
- 5-10% medio;
- 10-20% alto;
- > 20% molto alto.
Infine, nell’occasione della visita, a ciascun dipendente è stato somministrato il Questionario Internazionale sull’Attività Fisica (International Physical Activity Questionnaire, IPAQ) nella sua versione italiana validata “last 7 d” (Craig e coll. 2003, Hagstromer e coll. 2006, Mannocci e coll. 2010), che, con 9 domande, investiga sul grado di attività fisica negli ultimi 7 giorni dall’esaminando e consente di calcolare il Metabolic equivalent of task (MET). Un MET è definito come il tasso metabolico a riposo, corrispondente alla quantità di ossigeno consumato a riposo, seduto in silenzio su una sedia, pari a circa 3,5 ml O2/kg/min. Esso è comunemente utilizzato nella letteratura scientifica internazionale per la stima dell’attività fisica di un individuo (Jette e coll. 1990, Ainsworth e coll. 2011): un punteggio all’IPAQ di meno di 700 MET indica un soggetto “inattivo”, tra i 700 e i 2519 “sufficientemente attivo”, dai 2520 MET in poi un soggetto “molto attivo”.
Tutti i dati così ottenuti sono stati inseriti nel programma di calcolo statistico SPSS v. 16, per l’analisi statistica descrittiva e comparativa. Per il confronto tra variabili dicotomiche è stato utilizzato il test Chiquadrato, per lo studio delle variabili continue il test T di Student. È stato considerato statisticamente significativo un valore di p < 0,05.
RISULTATI
Dai 105 lavoratori arruolati all’indagine è stato possibile ottenere tutti i dati necessari in 97 casi (92,4%), per il rifiuto a partecipare allo studio da parte dei restanti 8. Tra i 97 partecipanti solo 3 (3,1%) avevano avuto una storia di MCV: di genere maschile, con età tra 60 e 64 anni, 2 inattivi e 1 molto attivo. Tra i 94 non interessati da pregresse patologie, 60 uomini (63,8%) e 34 donne (36,2%), con una età media di 48,9 ± 9,2 DS anni, solo 18 lavoratori (19,1%) sono risultati attuali fumatori, 10 ex fumatori (10,6%) e i restanti 66 non fumatori (70,2%). In base all’IMC, 38 (40,4%) sono stati normopeso, 45 (47,9%) sovrappeso e solo 11 con una franca obesità (11,7%). La familiarità per MCV è risultata positiva in 19 persone (20,2%). Solo 2 lavoratori (2,1%) sono stati affetti da diabete, 13 (13,8%) da ipertensione arteriosa e 9 (9,6%) da ipercolesterolemia.
Considerando il rischio cardiovascolare a 10 anni calcolato con il QRISK2 dei 94 lavoratori presi in esame, 15 (16%) si sono collocati nella fascia del rischio irrilevante, 43 (45,7%) del rischio basso, 20 (21,3%) di quello medio, 11 (11,7%) di quello alto e 5 (5,3%) di quello molto alto. Per quanto riguarda, invece, il giudizio sulla attività fisica, ottenuto con il calcolo dei MET utilizzando l’IPAQ, 27 lavoratori (28,7%) sono stati inattivi, 42 (44,7%) sufficientemente attivi e solo 25 (26,5%) molto attivi. Nel grafico 1 sono suddivisi in base al genere e all’età minore o maggiore di 50 anni.
In particolare, non vi sono state differenze significative tra i lavoratori inattivi e molto attivi sia per l’età media (48,7 vs 47,9 anni, p = 0,7), sia per il genere (16 vs 15 uomini, 11 vs 10 donne, p = 0,9). Stratificando i lavoratori nelle due fasce d’età fino a 50 anni e sopra 50 anni, egualmente è stato riscontrata una differenza numerica non significativa tra inattivi e molto attivi (17 vs 16 tra i più giovani, 10 vs 9 tra i più anziani,p = 0,9). Considerando l’abitudine tabagica, la percentuale di non fumatori inattivi è stata lievemente maggiore rispetto ai molto attivi (19 vs 14), mentre i fumatori inattivi sono stati leggermente meno numerosi dei molto attivi (6 vs 8), con una differenza non statisticamente significativa (p = 0,3).
Confrontando tra di loro i 15 lavoratori con rischio cardiovascolare irrilevante con i 16 a rischio alto e molto alto in base ai MET medi totali consumati negli ultimi 7 giorni desunti dall’IPAQ, vi è stata una notevole differenza in favore dei lavoratori a minor rischio, però non significativa (3249 MET vs 1395 MET, p = 0,2). Tra i 16 lavoratori a rischio più elevato, solo in 2 (12,5%) sono risultati molto attivi, mentre 8 (50%) sufficientemente attivi e 6 (37,5%) inattivi. Anche tra i 43 a rischio basso vi è stata era una maggiore prevalenza di lavoratori inattivi (14,32,6%) o sufficientemente attivi (18, 41,9%) rispetto ai molto attivi (11, 25,5%), mentre i 15 a rischio irrilevante sono stati equamente ripartiti tra inattivi (5), sufficientemente attivi (5) e molto attivi (5).
Nonostante l’assenza di risultati statisticamente significativi a causa dell’esiguità del campione analizzato, è stato, a ogni modo, possibile fare delle osservazioni.
Una consistente quota dei lavoratori arruolati, a prescindere dall’età e dal genere, ha riferito di non svolgere una adeguata attività fisica. Molti di essi, in particolare, hanno presentato un rischio elevato di incorrere in eventi cardiovascolari. Da non sottovalutare, infine, è stata una rilevante aliquota di giovani a rischio basso o irrilevante, i quali trascurano quasi totalmente l’attività fisica, forse nell’illusione di non averne bisogno.
PROPOSTA DI INTERVENTO E CONCLUSIONI
I dati ottenuti dal nostro studio fanno comprendere come l’inattività fisica sia un problema trasversale e globale nel campione analizzato, tale da rendere imprescindibile l’adozione di azioni correttive tempestive e adeguate. Da qui la nostra proposta di riorganizzazione dell’attività lavorativa, mediante l’inserimento in essa di un momento formativo che consenta di comprendere la necessità di promuovere l’attività fisica, dentro e fuori dal lavoro, nei settori di attività nei quali la sedentarietà è una condizione obbligata, propria dalle caratteristiche della prestazione lavorativa.
Le linee guida europee sulla prevenzione delle MCV forniscono le raccomandazioni riguardo l’attività fisica di seguito riportate (Piepoli e coll. 2016).
- Per gli adulti sani di qualsiasi età si raccomanda di praticare almeno 150 minuti alla settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità o 75 minuti alla settimana di attività fisica aerobica vigorosa o una combinazione equivalente delle due. Per ulteriori benefici andrebbe poi gradualmente incrementata a 300 minuti quella moderata e a 150 quella vigorosa.
- Va preferita una attività a minor impiego di tempo ma maggiormente distribuita nell’arco della settimana, quindi più sedute di almeno dieci minuti l’una, distribuite almeno nel corso di 4-5 giorni a settimana, meglio se in tutti i giorni.
- Nei soggetti a basso rischio cardiovascolare non sono necessarie ulteriori valutazioni, in quelli a rischio maggiore, che intendano affrontare una attività fisica vigorosa, è opportuna una valutazione clinica preliminare, con eventuale esecuzione di test da sforzo.
- Si raccomanda una valutazione periodica e un counseling sull’attività fisica.
Facendo proprie queste raccomandazioni, la nostra proposta ha, quindi, lo scopo di coinvolgere il lavoratore in un progetto di attività fisica globale, che egli dovrà perseguire sia individualmente nel proprio tempo libero, sia durante l’orario lavorativo. Essa consiste in:
- Fase preliminare, di riorganizzazione del lavoro;
- Fase di formazione e informazione ai lavoratori;
- Fase di controllo degli outcome.
La fase preliminare consiste in una riorganizzazione della struttura lavorativa aziendale a opera delle figure dirigenziali in collaborazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e con il Medico Competente, che preveda brevi periodi di pausa dall’attività sedentaria da dedicare all’attività fisica, l’incentivazione all’utilizzo delle scale, della bici o dell’andare a piedi a lavoro, la messa a disposizione di un consulente, l’offerta di convenzioni con palestre o strutture ricreative similari per i dipendenti, l’organizzazione di giornate dedicate alla pratica di attività sportive a livello non agonistico, inserendo anche competizioni e premi per invogliare alla partecipazione.
Complementare a essa è una fase approfondita di formazione e informazione dei lavoratori, con seminari e incontri mirati a cura del Medico Competente, il quale avrà il compito di spiegare l’importanza della attività fisica per ridurre il rischio cardiovascolare e anche di istruire su come eseguirla correttamente. Andrà senza dubbio preferita l’attività fisica aerobica, la quale comprende le normali attività quotidiane, come il trasporto attivo (spostarsi a piedi o in bicicletta), i lavori domestici pesanti, fare giardinaggio e dedicarsi ad attività professionali o ricreative, nonché pratiche sportive come camminare a passo sostenuto, camminata nordica, marcia, corsa o jogging, ciclismo, sci di fondo, danza aerobica, pattinaggio, canottaggio o nuoto (Piepoli e coll. 2016). Corollaria sarà la distribuzione di volantini, e-mail, audiovisivi motivazionali, che coinvolgano il lavoratore e favoriscano il raggiungimento di un livello molto attivo.
L’ultima fase di controllo, prevede la rivalutazione da parte del Medico Competente al momento della visita di Sorveglianza Sanitaria per poter apprezzare i risultati eventualmente ottenuti e apportare eventuali correttivi in corso d’opera. Considerando il guadagno in termini di aumento della produttività, riduzione dei giorni di malattia e delle invalidità, qualsiasi datore di lavoro non potrà che approcciare con positività a questo progetto.
Prossimo passo sarà anzi tutto l’estensione della valutazione a tutta la forza lavoro dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, sedentaria e non, e l’attuazione delle varie fasi del progetto. Momento fondamentale per capire l’efficacia di questa strategia sarà la rivalutazione a breve e medio termine, dopo tre mesi e dopo un anno dall’introduzione dei correttivi.
References
- Benjamin EJ et al. American Heart Association Council on Epidemiology and Prevention Statistics Committee and Stroke Statistics Subcommittee (2018). Heart Disease and Stroke Statistics-2018 Update: A Report From the American Heart Association. Circulation, 137(12), e67-e492.
- Hippisley-Cox J. et al. Predicting cardiovascular risk in England and Wales: prospective derivation and validation of QRISK2. BMJ 2008;336:a332
- Mannocci A et al. International Physical Activity Questionnaire: validation and assessment in an Italian sample. Ital J Public Health 2010; 7(4):369-76.